STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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GRAZIE ALL’ESERCITO GUIDATO DAL CORREGGIO

 

LA SCONFITTA DEGLI UNGHERI A PIOVE DI SACCO

 

Forze padovane sostenute da un’armata ungherese inflissero pesanti sconfitte ai veneziani prima di essere affrontate e messe in fuga dagli eserciti della repubblica a Piove di Sacco, anche grazie all’apporto di arcieri turchi, assoldati per l’occasione...

 

 

A muoversi per primo contro Venezia fu il signore padovano Francesco da Carrara. Già da tempo i padovani andavano costruendo numerose for­tezze lungo il confine col territorio veneziano e fra queste quelle di Castellaro e di Oriago che vennero dichiarate zone franche con un mercato settimanale privo di dazi che andava a costituire una seria minaccia com­merciale per il mercato lagunare.

 

Ma ancora non basta­va. I timori di un atto di forza contro Venezia che andava­no da tempo diffondendosi nella città stavano infatti peri­colosamente prendendo corpo. Dopo le minacce e le inti­midazioni, si arrivò infine alla guerra. Francesco da Carrara si era preventivamente assicurato l’aiuto milita­re del re d’Ungheria Luigi d’Angiò che inviò alla corte car­rarese, in data 26 febbraio 1372, il documento nel quale rendeva nota la sua totale disponibilità in tal senso.

 

L’eventuale sconfitta di Venezia infatti, avrebbe facilmen­te e finalmente aperte le porte della Dalmazia al sovrano ungherese che avrebbe così ottenuto il tanto sospirato sbocco sull’Adriatico. Avuta conferma dell’appoggio da parte del re, Francesco da Carrara preparò il suo eserci­to, affidandone il comando al Conte Rizzardo di S.Bonifacio e ben presto alle sue truppe si unirono quelle inviate dal re Luigi d’Ungheria.

 

Inizialmente più che in una vera e propria guerra lo scontro tra Padova e Venezia si risolse in una serie di piccole battaglie circo­scritte che andarono ad allungare con i loro alterni esiti i tempi dello scontro risolutore. Le cose presero invece a mutare proprio con l’arrivo di un esercito ungherese gui­dato da Stefano di Transilvania, nipote del re Luigi. Forte di ben 2.500 uomini il suo esercito si congiunse quindi con quello del signore padovano infliggendo ai veneziani le prime, preoccupanti sconfitte di una certa entità come quella di Nervesa sul Piave. fu quell’occasione con il capi­tano veneziano cadde nelle mani dei padovani anche il gonfalone di S.Marco che venne appeso quale trofeo nella Basilica di S.Antonio.

 

Si ricorre ai mercenari turchi

 

Gilberto da Correggio, il nuovo capitano delle truppe veneziane, si era intanto portato con il suo esercito a Lova, nel tentativo di riorganizzare le fila dei veneziani che vennero invece nuovamente e duramente sconfitti il 14 maggio dagli eserciti congiunti dei padovani e dei cavalieri ungheresi.

 

A Venezia, giunta la notizia dell’en­nesima sconfitta, l’atmosfera si fece a dir poco pesante. C’era bisogno di nuovi rinforzi, di soldati freschi e deter­minati per ribaltare le sorti della guerra. Si dice che fu allora, in quel disperato momento, che il doge Contarini si decise di chiamare in aiuto delle sue truppe ben 5.000 guerrieri turchi armati di tutto punto, d’archi e scimitar­re.

 

Questi contingenti si diressero immediatamente in aiuto del Correggio che si trovava chiuso nel castello di Lova da dove, tuttavia, era riuscito con una fortunosa sortita a far tagliare gli argini dell’Adige a Borgoforte pro­vocando l’allagamento di molte ville nel territorio pado­vano.

 

Giunti i rinforzi il comandante veneziano riguada­gnò la speranza perduta dopo la sconfitta e decise di pun­tare su Pieve di Sacco, centro nevralgico dei padovani. Giunto sotto le mura del piccolo centro, iniziò a farvi sca­vare una gran fossa ed erigere un bastione provocando l’immediata reazione del carrarese. Questi riunì il suo esercito dividendolo in tre distinti gruppi. Il primo coman­dato da Stefano di Transilvania, il secondo guidato dallo stesso Francesco da Carrara, l’ultimo, invece, capeggiato da un gruppo di cavalieri padovani.

 

Il Correggio dal canto suo, dispose invece i suoi uomini in sole due falangi: nella prima i cavalieri nella seconda i fanti tra i quali si trova­vano circa 1000 balestrieri e oltre 4.000 arcieri turchi. L’esercito padovano si trovava da un pò impegnato nel­l’assedio di una fortezza veneziana quando si vide improvvisamente piombare addosso l’esercito veneziano guidato dal Correggio.

 

Inutilmente le truppe ungheresi contrattaccarono, dato che il loro tentativo venne clamo­rosamente respinto dai veneziani. Era solo l’inizio di una durissima battaglia fra i due eserciti che si scontrarono infatti senza esclusione di colpi per molte ore ancora La probabile superiorità numerica dei veneziani, la loro determinazione – era in gioco la libertà della loro patria – e la ferocia dei guerrieri turchi, ebbero alla fine la meglio sulle truppe ungheresi.

 

La loro rotta trascinò inevitabil­mente anche l’intero esercito padovano che abbandonò, sconfitto, il campo di battaglia. I veneziani potevano rite­nersi comunque più che soddisfatti. Le precedenti sconfit­te erano state vendicate e Venezia era salva. Si poteva finalmente farvi ritorno.

 

In città, l’esercito vittorioso, por­tava con sé anche un prigioniero di tutto riguardo: Stefano di Transilvania, comandante delle truppe nemi­che e niente meno che nipote del re d’Ungheria, Luigi. La cattura del prezioso personaggio, procurò a Venezia l’im­mediata pace. Luigi infatti, non appena avuta notizia della cattura del nipote si ritirò prontamente dal conflitto per ottenerne la liberazione, lasciando solo in tal modo il signore padovano che si vide così costretto a chiedere la pace al governo veneziano.