STORIA VENETA ILLUSTRATA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELLA REPUBBLICA DI VENEZIA

 

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DOPO UN LUNGO E FRUTTUOSO DOGATO

 

MUORE IL MOCENIGO

 

Prima di morire l’anziano doge chiede che non venga eletto quale suo successore Francesco Foscarini il quale avrebbe sicuramente trascinato Venezia in altre intermi­nabili guerre terrestri mentre ora il pericolo principale veniva dal mare e si chiamava “avanzata turca”

 

 

Quando il doge Tommaso Mocenigo nei primi mesi del 1423 pronunciò il suo discorso sullo stato di salute della Repubblica e sulla eroicità dei marinai veneziani contro il nemico turco, aveva un obbiettivo ben preciso. ‘Vuihavè visto el modo che vive i nostri zentilhomeni et cittadini”, disse il vec­chio doge ai membri del Consiglio e, date queste straordi­narie premesse, i veneziani sarebbero presto diventati “... signori de l’oro de christiani”.

 

La situazione per la Serenissima, effettivamente, si dimostrava allora estre­mamente positiva anche all’estero. Verona, Padova, Vicenza e Belluno, con il feltrino, andavano a costituire ormai il primo consistente nucleo dei futuri domini vene­ziani sulla terraferma, mentre nel 1409 il re Ladislao d’Ungheria aveva venduto al governo veneziano la città di Zara per ben 100.000 fiorini d’oro (circa un miliardo e mezzo di lire!). Nel 1419, poi, anche Udine e Cividale del Friuli avevano firmato la loro dedizione a Venezia confe­rendo una eccezionale continuità ai suoi domini verso est che raggiungevano ormai l’Albania.

 

La ricchezza e la potenza di Venezia, per Mocenigo, avevano un’unica, antica radice: il suo tradizionale rapporto con il mare. Venezia era per il vecchio doge prima di tutto ed esclusi­vamente una potenza basata sui commerci marittimi e sul progressivo potenziamento della sua flotta anche mili­tare. In ogni caso il mare era da sempre la vera risorsa, l’unica fonte di ricchezza della città!

 

Ma dove voleva arri­vare “Tommasone” – così lo chiamavano affettuosamente gli amici – con questo suo discorso? “A caxon che (affinché) possa saver da vui chi vuiellezeretidoxe, secretamente me lo dite in rechia per poter confortarve qual è quello che merita...”

 

Ecco dunque svelato per sua stessa ammis­sione, il vero, unico e reale scopo del Mocenigo: condizio­nare in qualche modo – assai pesantemente in realtà – l’e­lezione del suo successore facendo, infatti, il nome, dopo queste sue parole, di valorosi e degni senatori che secondo lui avevano tutte le carte in regola per assurgere alla suprema carica dello Stato veneziano. E qui si arriva al nocciolo della questione.

 

Fra tutti i “savi homeni suffi­cienti” nominati dall’anziano doge e abili alla ducea, viene escluso quello del senatore Francesco Foscari, anzi, costui nel modo più assoluto non doveva essere il nuovo doge. L’attacco contro il Foscari da velato e sottointeso si era fatto via via sempre più scoperto e diretto: “ ...(Foscari, ed è sempre Mocenigo a parlare), dise busìe et anche molte cose senza alcun fondamento ... et vola più che non fa li falchoni ...”.

 

Eppure l’aspra requisitoria contro il gio­vane senatore, non sembra si possa ridurre ad una sem­plice antipatia o disistima personali. Sotto alla pesante denuncia del Mocenigo, si celava un autentico e trasparente interesse per le sorti della stessa Repubblica. Se il Foscari venisse infatti eletto quale nuovo doge, per il Mocenigo, “ ...de brevi sareti in guerra” e “chi haverà dieci milIa ducati, non se ne troverà se non mille, chi haverà dieci caxe non ne troverà se non una...”.

 

Dunque se il Foscari fosse diventato il nuovo doge, Venezia ben presto si sarebbe ritrovata nuovamente in guerra e nel baratro di una crisi finanziaria. “Et dove vui siete, signori, vui sarete vassalli de huomini d’arme ...” . II discorso si chiude con un caloroso consiglio che suona quasi più da monito: “Seguite secondo che ve a trovati (come vi trovate) che beati (sarete) vui e vostri fioli”.

 

Un gruppo di potere

 

Ma chi era questo Francesco Foscari? Entrato sulla scena politica in giovanissima età, Foscari faceva parte di quel nutrito gruppo di importanti uomini politici – primo fra tutti il precedente doge Michele Steno – che volevano portare Venezia ad un sempre maggior impe­gno nelle vicende delle altre potenti signorie italiane allo scopo di assicurarsi con le eventuali conquiste sulla terra­ferma, la stessa sopravvivenza.

 

E dai primi anni del seco­lo XlV, effettivamente, questa era stata la linea politica dei dogi veneziani con la progressiva conquista dei princi­pali comuni veneti che portarono Venezia alla ribalta della storia regionale e dell’intera penisola quale nuova potenza terrestre. Di fronte alla forza espansiva dei Visconti, il governo veneziano aveva quindi risposto con un altrettanto determinato moto espansivo che assicura­va in modo particolare la tranquillità della Venezia lagu­nare.

 

Appare chiaro come lo scontro fra il Mocenigo e il Foscari, fosse in realtà uno scontro politico fra due diverse scelte di governo. Ricordando ed appellandosi alle glorie militari dei marinai veneziani, alla ricchezza della città dovuta ai suoi traffici marittimi, Mocenigo voleva ricorda­re che sì dal mare erano venute a Venezia gloria e ric­chezza, ma anche mortali pericoli e allora il pericolo più immediato si chiamava espansione turca. Il suo stesso dogato si caratterizzò per un costante impegno veneziano proprio contro le flotte turche nel Mediterraneo Orientale (battaglia di Gallipoli), contro una politica “terrestre” gio­cata all’insegna della moderazione e della mediazione.

 

D’altro canto, invece, crescevano in città e nel Senato l’e­sigenza e la necessità di una Venezia forte anche sulla terraferma. Era in fondo un antico dilemma quello che vedeva contrapposti simbolicamente i due uomini vene­ziani, dilemma risalente ancora al tempo della discesa in Italia dei Longobardi quando l’allora giovane comunità lagunare avvertì per la prima volta il pericolo reale di avere alle spalle una forte potenza terrestre.

 

Allora Venezia scelse la via del mare, ora, a distanza di sette secoli e per le mutate circostanze storiche, Venezia era pronta a misurarsi, per desiderio ma più per necessità, con le altre signorie italiane. L’elezione di Francesco Foscari quale nuovo doge è di per sé indicativa di questa tendenza. A nulla erano valse le parole accorate del vec­chio doge moribondo.